Accogliersi a vicenda per imparare a conoscersi – con questo spirito una delegazione di giovani italiani si trova ora in viaggio in Iraq, accompagnata da un gruppo di coetanei iracheni. È la prima azione dello scambio Italia – Iraq, promosso dal progetto DIMMI di Storie Migranti. Lo scambio proseguirà nei prossimi mesi a parti invertite, con la delegazione irachena in visita in Italia. In questo diario iracheno vi raccontiamo l’esperienza attraverso le parole di chi la sta vivendo in prima persona.
“Chissà che idea hanno Gzng, Sarah, Shania, Waleed e Sami dell’Italia! Loro sono le ragazze e i ragazzi che compongono la delegazione irachena dello scambio giovanile DIMMI di Storie Migranti. Il progetto ha come obiettivo l’abbattimento degli stereotipi attraverso la creazione di occasioni di dialogo ed incontro.
Bombardato, povero, vuoto, arretrato e mentalmente chiuso sono solo alcuni degli aggettivi che spesso la narrazione dominante associa all’Iraq. Ecco perché UPP, in quanto capofila del progetto DIMMI, ha dato l’opportunità a noi ragazze e ragazzi europei di vivere 10 giorni nel Kurdistan iracheno. Influenzati da immagini sbagliate, anche noi ci aspettavamo un contesto estremo e pericoloso. Un luogo diverso rispetto a ciò che abbiamo trovato qui.
Il nostro viaggio nella memoria di questi luoghi è iniziato con la visita ad Amna Suraka, le prigioni dove sono stati rinchiusi e torturati i dissidenti curdi sotto il regime Ba’athista di Saddam Hussein, oggi museo. Shania ci ha fatto da guida, portandoci nelle diverse stanze: alcune mostrano tappeti, abiti e case tipiche, come a voler riaffermare la propria identità di popolo in un luogo di sofferenza. Vengono rievocate le tragedie dell’Anfal, il massacro del ’88 che ha causato circa 182.000 vittime e la recente guerra con Daesh, che ha visto il popolo curdo in prima linea. Foto e nomi delle vittime di ogni periodo storico riempiono le pareti. Le celle sono piccole, buie, e alcuni dei ragazzi che ci accompagnano preferiscono non entrarci: non hanno vissuto quel periodo, ma la memoria è viva nei racconti dei loro genitori. Anche a noi, lontani/e da questa storia, le prigioni lasciano un senso di angoscia e dolore.
Lontani, sì, ma non troppo: nella sala dedicata alle mine ritrovate in Kurdistan, l’Italia compare due volte, sia come paese fornitore che come paese impegnato nelle operazioni di sminamento. Fa un certo effetto vedere tutte queste armi dietro delle teche, ma la scelta non è stata fatta con l’intento di spettacolizzare la violenza. Entrando infatti nella stanza ti accoglie questa frase diretta e franca: “We neither manufactured these weapons, nor feel proud exibithing it. In fact, these were used by those who threatened our existance. We also admit that these very weapons helped us achieve our freedom”. Tra le stanze di Amna Suraka è tangibile la sofferenza di questo popolo, ma anche e soprattutto la sua resilienza.
Uno dei luoghi simbolo della forza di questa società è la Tobacco Factory. Ci addentriamo a piedi tra capannoni e vecchi stabili abbandonati e scoloriti dal sole. Come entriamo in uno dei tanti edifici ci colpisce un luogo di aggregazione ed espressione artistica, che riunisce giovani con interessi diversi: mostre d’arte, concerti, proiezioni di film, corsi di pittura, danza, boxe e skate. Il luogo, abbandonato da tempo, è stato negli anni sistemato e decorato: gli stili e i colori si mischiano alle pareti raccontando l’eterogeneità dei giovani e delle giovani che lo vivono, la voglia di superare le barriere sociali e culturali e la volontà di appropriarsi di uno spazio per essere liberi/e di esprimere la propria personalità. Il posto assomiglia molto a quello che in Italia potrebbe essere un centro sociale, ma mentre da noi questi spazi sono spesso legati all’attivismo politico qui i ragazzi e le ragazze tengono a precisare la distanza che vi è tra loro e qualsiasi forma di azione politica.
Durante il giorno i vicoli che circondano il monastero Deir Maryam al-Adhra sono abbastanza silenziosi e vuoti. I tempi sono dilatati, dopotutto è metà maggio, ci sono almeno 35 gradi ed è l’inizio di Ramadan: il nono mese dell’anno secondo il calendario arabo. Non si mangia e non si beve dall’alba al tramonto, la giornata lavorativa è ridotta a metà. Dopo le 19, le persone si muovono: dalle urla dei negozianti, dagli odori di spezie e carni fresche del suq alle risate e le luci di Salim street. Questa è la strada di quella che potremmo chiamare la “movida”: tavolini, chioschi e bancarelle dove si consuma soprattutto the – nei piccoli bicchieri affusolati, abbondantemente zuccherati – caffè e sigarette.
Lontano dai rumori e dagli odori intensi e pesanti della città, scopriamo Hawari Shar. Un parco tranquillo, verde e abbracciato dalle montagne, dove la gente va per rifugiarsi dalla caotica vita urbana. Molte famiglie approfittano del paesaggio e delle colline che fanno da sipario allo spettacolare tramonto per celebrare il ricco iftar.
Tutti questi luoghi ci mostrano mondi diversi tra loro. Ci raccontano di persone e storie che restituiscono un’immagine molto più viva e sfaccettata di quella che le narrazioni in Italia diffondono. La volontà di riprendersi le proprie vite deve fare i conti con una società molto complicata, ma resta evidente la determinazione dei giovani e delle giovani di voler rafforzare un tessuto sociale al momento ancora frammentato”.
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