A pochi giorni dalla premiazione della quarta edizione del concorso DIMMI Diari Multimediali Migranti continuiamo a conoscere più da vicino i finalisti e le loro storie, che verranno verranno presentati venerdì 13 settembre a Pieve Santo Stefano (AR) in occasione del Premio Pieve Saverio Tutino.
Oggi vi presentiamo “Migrante involontario” di Williams Olawale, “Ci si chiede sempre cosa fare, l’ultimo dell’anno” di Ndack Mbaye e “Questo strano mercoledì” di Paule Roberta Yao.
Williams Olawale (Nigeria, 1985) – “Migrante involontario”
La sera di venerdì 21 maggio 2016 Williams Olawale, trent’anni, si trova nel suo piccolo villaggio, Oke-Ako, nello Stato di Ekiti, sud-ovest della Nigeria. Ascolta divertito le storie che i piccoli raccontano, reinventando quelle della tradizione con la loro fantasia. Tra loro anche Tomiwa, la sua nipotina più cara.
Williams, che come tanti di Oke-Ako è agricoltore, chiacchiera con gli amici serenamente, come non gli accadeva da tempo. Per un pezzo, infatti, gli abitanti del villaggio avevano subito i soprusi dei Fulani, etnia proveniente da fuori Ekiti, impiegata dai ricchi possidenti di mandrie nel pascolo del bestiame. Incuranti di ogni regola, i Fulani avevano finito col trasbordare nei coltivi, lasciando che le vacche si nutrissero dei frutti del duro lavoro di Williams e della sua gente, non esitando a colpire chiunque osasse ribellarsi, arrivando a commettere ogni sorta di violenza, fino all’omicidio. La situazione era rapidamente divenuta insostenibile.
Ma quella sera, quel venerdì di maggio, tra Williams e gli altri di Oke-Ako c’è ottimismo. Il consiglio degli anziani e la lunga contrattazione seguita con i capi dei Fulani pare aver sortito l’effetto desiderato. I Fulani rispetteranno i patti, non distruggeranno i campi, non daranno più fastidio.
Quand’ecco che in un attimo la pace si interrompe nel peggiore dei modi. La furia distruttrice di uomini armati invade il villaggio, la gente si disperde, ci sono feriti e morti e i Fulani continuano a devastare. Williams perde di vista i familiari, non sa chi è sopravvissuto. Si ritrova a correre verso una meta che non conosce.
Come spinto da una forza sovrumana comincia il suo viaggio: attraversa la Nigeria su mezzi di fortuna, sperimenta sulla sua pelle il deserto, le carceri libiche, la tortura, il lavoro forzato, i ricatti. E assiste, impotente, ad altri indicibili violenze. Finché il caso, vestito da ‘buon nemico’, non lo pone davanti alle sponde del Mediterraneo.
“Migrante involontario” è una storia che comincia con una bambina che racconta storie. È la storia dello zio di quella bambina, che per correre via dalla violenza ne ha trovato altra. È una storia che si arresta quando s’arresta la violenza e comincia il mare.
Ndack Mbaye (Senegal, 1992) – “Ci si chiede sempre cosa fare, l’ultimo dell’anno”
Che fate a capodanno? Per carità, è ancora è presto per ragionare su veglioni e serate danzanti di fine anno. Per carità! siamo ancora ai resoconti dell’estate, in città fa ancora caldo (non a Pieve Santo Stefano, che sfugge a qualunque categoria climatica. Sappiatelo, voi che giungete da lande dove ancora non si srotolano calzini).
Vi chiedo che fate a capodanno perché è a quell’atmosfera festosa e gravosa, di eccesso di famiglia e di acuta solitudine, di continuo affannarsi in occupazioni indesiderabili che ci riconduce la storia di Ndack Mbaye, senegalese, residente in Veneto da molti anni.
Sospesa tra una comunità d’origine dai caratteri esplosivi e un contesto sociale ben più introverso, Ndack ricorda la notizia del dramma che intervenne a spezzare la gioia chiassosa dei suoi, pronti a festeggiare uno degli passati capodanni. La notizia della morte di un bambino, figlio di una cugina, è il tema attorno a cui si costituisce il teatro dei vivi. Ogni considerazione è dominata da due forze opposte: disperazione e senso fatalistico dell’esistenza.
“Ci si chiede sempre cosa fare, l’ultimo dell’anno” è una storia in cui il lutto sviluppa riflessioni intorno alla cultura della morte di un popolo. Più tardi, quelle stesse riflessioni (rivedute e corrette al filtro del tempo) daranno all’autrice modo di misurare i cambiamenti di pensiero e di opinione che l’hanno attraversato.
Paule Roberta Yao (Camerun, 1984)- “Questo strano mercoledì”
L’ultimo mercoledì dell’anno 2010 Paule Roberta Yao, camerunense di nascita e francese da ventisei anni – che è come dire tutta la vita, meno i sei mesi trascorsi a Yaoundé – è a casa, a Marsiglia, con un’amica. È rientrata per le festività natalizie. Da anni si divide tra Francia e Italia, dove ha ultimato un tirocinio volto a perfezionare la formazione universitaria come traduttrice di inglese e francese.
D’un tratto, mentre chiacchiera fittamente con l’amica, giunge la telefonata che stravolge quel mercoledì e tutta la sua vita a seguire. Una voce rotta dal pianto le comunica che Odette, la sorella maggiore di Paule, non c’è più, è morta. Paule non capisce, si confronta con l’amica, non sa che fare, il cervello gira a vuoto. Qualcosa dentro le si è spezzato, ma lei non riesce nemmeno a cancellare l’invito a pranzo per l’ospite.
Quando comunicherà alla famiglia l’accaduto, le pioverà addosso tutta la disperazione di un evento incomprensibile, arrivato a terremotare i già compromessi legami tra lei, i genitori e la sorella minore. Ci vorranno anni, un nuovo faticoso soggiorno in Italia, una salvifica psicoterapia, l’appoggio saldo degli affetti per farla rimettere in piedi. Non ultimo, sarà fondamentale il viaggio che Paule compirà in Africa, in quel Camerun da cui i genitori si sono allontanati più di trent’anni prima, per provare a capire le origini con cui non si è mai veramente confrontata.
“Questo strano mercoledì” è la storia di Paule Roberta Yao, ed è una storia tutta alla rovescia. Una storia dove il movimento, anche quello ideale, va dall’Europa verso l’Africa, e dove dal lutto si arriva alla rinascita.
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Testi a cura di Laura Ferro