A pochi giorni dalla premiazione della quarta edizione del concorso DIMMI Diari Multimediali Migranti continuiamo a conoscere più da vicino i finalisti e le loro storie, che verranno verranno presentati venerdì 13 settembre a Pieve Santo Stefano (AR) in occasione del Premio Pieve Saverio Tutino.
Oggi vi presentiamo Atdhe Lusha con “Il potere del pensiero”, Mouhamadou Lamine Dia e il suo “Pourquoi? Pourquoi? Chi l’ha detto? Dove sta scritto?”, Mamadou Diakité con “Il candidato” e infine Liudmila Florenta, autrice di “Il cammino verso casa”.
Atdhe Lusha (Kosovo, 1998) – “Il potere del pensiero”
A soli sette anni ad Adthe è stata detta una cosa talmente enorme che ci ha messo degli anni
per capirla appieno. Gli è stato detto che quell’atroce mal di testa che ha provato una mattina
andando a scuola, il vomito e il senso di stanchezza a seguire, sono i sintomi di un male che si
porta in testa. Il peggiore possibile.
Adthe e la sua famiglia – papà, mamma, un fratello e una sorella più piccoli – non sono
estranei a simili notizie. Diversi familiari sono morti a causa di patologie tumorali. La zia
paterna di Adthe è tuttora in cura a Tirana, con la stessa diagnosi che i medici hanno
sentenziato per lui: tumore al cervello.
È cominciata così la trafila delle visite, gli esami, i ricoveri, i controlli. Per il bambino che va in
terza elementare (e ci va volentieri) è solo l’inizio. I medici suggeriscono che venga portato in
Italia, dove un’équipe di chirurgia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli è
specializzata in oncologia pediatrica. La Kosovo Force, forza militare internazionale istituita
dalla NATO nel 1999 per fronteggiare la crisi umanitaria causata dagli scontri etnici in una
regione storicamente dilaniata da contrapposte appartenenze – linguistica, religiosa, politica –
si farà carico del trasferimento in Italia del piccolo paziente e della mamma.
E così, un giorno di fine giugno del 2007, il piccolo paziente e la sua mamma partono per
Roma. Ci vorranno due lunghi interventi chirurgici e lunghissime riabilitazioni, e lunghe attese
e lunghe separazioni dalla famiglia.
“Il potere del pensiero” è il titolo della storia che Adthe Lusha ha inviato all’Archivio dei diari
attraverso il progetto DIMMI di storie migranti. È la storia di una emigrazione che ci rende
orgogliosi delle eccellenze mediche del nostro paese. Ma soprattutto è la storia di un bambino
coraggioso e della sua famiglia che non ha mai disperato.
Mouhamadou Lamine Dia (Senegal, 1979) – “Pourquoi? Pourquoi? Chi l’ha detto? Dove sta scritto?”
La mia non è un’immigrazione economica, tantomeno chissà che altra cosa. La mia è una scelta che ho fatto quando mi sentii detto che i francesi potevano venire quando volevano in Senegal e io non potevo entrare in Francia quando volevo. Mi sembrava una cosa ingiusta e poco coerente visto la storia che la stessa Francia ha avuto, che ha ancora con il Senegal.
Non manca la logica a Mouhamadou Lamine, non c’è che dire. D’altra parte si è formato alla scuola dei grandi pensatori francesi (Rousseau, Fanon), insieme a senegalesi come Cheickh Anta Diop, l’antropologo cui si deve un’importante quanto provocatoria teoria afrocentrica della civiltà egizia. E poi c’è la poesia, quella senza nazione, divenuta ormai universale.
Questo è Lamine: un giovane uomo nato e cresciuto in Senegal, affascinato dalla letteratura francese al punto da abbracciarla e usarla, un giorno, “contro” la Francia coloniale. Il giorno in cui, d’accordo con un cugino francese, commette il reato di cui non si è mai pentito.
“Pourquoi? Pourquoi? Chi l’ha detto? Dove sta scritto?” è la storia di un ragazzo che amava i versi di Rimbaud. È una storia con dentro un segreto che ci renderà complici.
Mamadou Diakité (Costa d’Avorio, 1984) – “Il candidato”
Un candidato. Ecco chi è Mamadou Diakité, ivoriano, classe 1984. O piuttosto, ecco chi era
Mamadou prima di partire per l’Italia, il 3 settembre 2016. Un candidato, come vengono
chiamati dai passeur quelli che vogliono fare “il viaggio”. Come per un concorso, come per un
posto di lavoro, perciò quando arrivano sono così contenti: hanno vinto.
Mamadou è un pazzo, perché non dà valore alla sua vita. Così gli direbbe il suo amico Blacky
se solo conoscesse la vera destinazione del suo viaggio. Mamadou non l’ha detto nemmeno a
lui, perché “quando decidi di partire per la Libia non lo dici ai quattro venti, perché non lo sai se
arriverai a destinazione o se morirai, o se fallirai e tornerai indietro, che è peggio di morire”.
Migliaia di chilometri macinati, migliaia di franchi CFA sborsati, decine di compagni di viaggio
trovati e alcuni perduti per strada, e fame e sete, e violenze viste e subite, e ancora la prigione
e la paura non calcolabili si frappongono fra la partenza da Abidjan, capitale della Costa
d’Avorio, all’arrivo, sei mesi più tardi, sulla nave della SOS Mediterranée.
Ripescato dal mare e condotto al porto di Catania, e da qui un nuovo viaggio, verso una nuova
vita.
“Il candidato” è la storia del viaggio che Mamadou ha compiuto per raggiungere l’Europa. La storia di un candidato che, a carissimo prezzo, ha vinto.
Liudmila Florenta (Moldavia, 1997) – “Il cammino verso casa”
Liudmila ha nove anni.
No, non è vero. Liudmila ha ventidue anni. Ma di sé dice che contano solo gli anni in cui è stata
a casa.
Facciamo un passo indietro, e torniamo al 2003. Liudmila allora di anni ne ha sei e, come le
due sorelle, assiste impotente al fallimento del matrimonio dei genitori. Soffre della violenza
subita dalla madre, soffrirà dell’abbandono da parte del padre. Di lui non saprà più nulla,
mentre la mamma porterà lei e le sorelle a casa dei nonni.
Quattro donne in una stanza e i mille sacrifici non scoraggiano la piccola, finché la mamma è lì.
Ma la mamma ha in programma di partire per l’Italia, dove tante donne moldave emigrano per
prendersi cura degli anziani. Lasciando le loro case, i propri anziani e soprattutto i propri
bambini, per occuparsi di altre famiglie. Rimandando a un futuro non ben precisato il
momento in cui godranno i frutti del loro lavoro.
Da lì, dall’Italia, telefonano a casa una volta a settimana, e mentre si sincerano che ai signori
Rossi non manchi la spesa in frigo, sperano che laggiù, in quel triangolo di terra stretto tra
Romania e Ucraina, i propri figli stiano mangiando, facendo i compiti, ubbidendo ai nonni. Un
giorno forse torneranno a cucinare anche per loro, a preparargli lo zaino e ad accompagnarli a
scuola.
È, quella delle cosiddette badanti, una vita in differita. Ma lo è anche quella dei loro figli, che
sognano il giorno in cui le mamme faranno ritorno a casa. Per Liudmila, il ritorno a casa
avviene all’incontrario: è lei che, a diciannove anni, con il diploma appena conquistato,
raggiunge la madre in Italia.
Era il 2016, da allora sono trascorsi tre anni. Se la matematica conta qualcosa, questi ultimi
tre, sommati ai primi sei anni di vita, danno nove. Ecco spiegata quell’età bislacca: nove sono
gli anni in cui Liudmila è stata a casa. Sono gli anni trascorsi con la madre, la sua casa.
“Il cammino verso casa” è la storia di Liudmila , una storia in cui l’età anagrafica conta molto poco, e la casa non si disegna con il classico quadratino con il tetto e il camino fumante.
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Testi a cura di Laura Ferro